Fino a che punto si può spingere il controllo dell’investigatore privato sull’attività lavorativa dei dipendenti? La risposta al quesito è contenuta nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 15094 dell’11 giugno 2018. Secondo il Collegio “è giustificato l’intervento dell’investigatore solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e per l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (conformi: Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017); né a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 16196 del 2009; per la legittimità del controllo datoriale a mezzo di agenzia investigativa in caso di mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate v. Cass. n. 18821 del 2008)”.

Insomma, le agenzie investigative, per operare lecitamente, non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria. Sulla prestazione del lavoratore, la vigilanza è riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Infatti, gli artt. 2 e 3 della legge n. 300 del 1970 delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3). Ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (Cass. n. 9167 del 2003);

Inoltre, il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000). E’ legittimo il controllo demandato all’agenzia investigativa che non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa espletato al di fuori dell’orario di lavoro, come nel caso di verifica sull’attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (Cass. n. 12810 del 2017) ovvero nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992 (Cass. n. 4984 del 2014).

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